"I giganti della montagna", il capolavoro incompiuto di Luigi Pirandello, è il primo spettacolo del 2011 nella stagione di prosa del Teatro Vittorio Emanuele di Messina. Dal 5 al 9 gennaio sarà in scena la compagnia Vetrano - Randisi, che negli ultimi anni si è affermata come una delle interpreti più raffinate, originali e apprezzate delle opere del grande autore siciliano. Anche questo allestimento - come già "Pensaci, Giacomino!" e "L'uomo, la Bestia e la Virtù" - sta ottenendo un grande successo di pubblico e il consenso convinto della critica.
Maria ed Ester Cucinotti con Enzo Vetrano |
In questi "Giganti della montagna", come è ormai consuetudine di questa compagnia, lavorano molti attori messinesi. Accanto a Enzo Vetrano (il mago Cotrone) e Stefano Randisi (il Conte), sono impegnati, nei ruoli della Compagnia della Contessa, Ester e Maria Cucinotti (nel personaggio, sdoppiato, di Ilse), Marika Pugliatti (Diamante, la seconda donna), Giovanni Moschella (Cromo, il caratterista), Giuliano Brunazzi (Spizzi, l'attor giovane), Luigi Tabita (Battaglia, generico-donna) e, nei ruoli degli "Scalognati", Antonio Lo Presti (Duccio Doccia), Margherita Smedile (la Sgricia), Eleonora Giua (Mara-Mara) e Paolo Baietta (Milordino). La regia è degli stessi Vetrano e Randisi.
Questo lavoro di Pirandello è denso di significati sulla missione dell'arte e del teatro in particolare, rispetto al potere (qui è quello cieco e sordo dei Giganti) che, in tutti i tempi, non sembra in grado di rispettarne il valore sociale e culturale. E, per questo, sembra avere anche un valore profetico.
"L'arrivo della Compagnia della Contessa - si legge nelle note di regia - alla Villa dove il Mago Cotrone e i suoi 'scalognati' hanno scelto di vivere per isolarsi dalla 'civiltà', è l'incontro fra due universi uguali e contrari. La Compagnia, fedele all'idea di Poesia assoluta, si è ormai ridotta in miseria: nessuno, nel mondo, sembra più disposto ad ascoltare e comprendere. Ma ecco che arrivati alla Villa, come in un sogno, ciò che i teatranti cercano strenuamente sembra manifestarsi in quel luogo prodigioso: in un gioco fantastico di apparizioni e trasfigurazioni, di doppi e di identità rubate, la Villa e i suoi abitanti evocano e materializzano i personaggi, le scene, le atmosfere de 'La favola del figlio cambiato', l'opera che i poveri attori cercano di rappresentare senza più riuscirci. Cotrone invita i suoi ospiti a rimanere, per creare insieme nuovi e favolosi incanti dei quali potranno godere lì dentro, solo per loro, ma la Contessa Ilse non può accettare di chiudersi tra quelle mura. La sua missione è di portare e far vivere la Poesia tra la gente, e decide quindi di affrontare il confronto con la realtà, a costo della sua stessa vita".
L'opera, come è noto, è rimasta incompiuta a causa della morte di Pirandello. Il finale, però, fu sognato e raccontato dal drammaturgo al figlio Stefano dopo una notte molto agitata, e vede l'estremo sacrificio di Ilse.
"Nel nostro allestimento - scrivono Vetrano e Randisi - il personaggio di Ilse, che incarna l'idea di purezza e necessità del Teatro, ha un volto che continuamente si sdoppia. Sparisce e riappare inaspettatamente, cambia timbro e intonazione della voce. È forse Cotrone, detto il Mago - che ha conoscenza e pratica di virtù esoteriche - a ispirarne l'umore, a governare il suo essere, a decidere il suo apparire? È lui che evoca il suo doppio e la fa rispecchiare in se stessa? O è la forza della nostra immaginazione? (...) Vogliamo che la nostra Ilse ci lasci in dono il Teatro che non muore, come l'olivo saraceno che Pirandello sognò e descrisse al figlio prima di morire, quell'olivo che alla fine del terzo atto doveva rimanere al centro della scena, a rappresentare e contenere il passato, il presente e il futuro".
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