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mercoledì 19 gennaio 2011

Sulla difficoltà di far musica (e cultura) in Sicilia

(Dario Lo Cicero) Non pochi musicisti vivono la realtà siciliana con una certa disillusione, chiamatela, se volete, fatalismo o rassegnazione, ma non diteci che la vita è facile e che la rendiamo solo difficile col nostro pessimismo. 

Sicuramente chi fa musica con uno spirito di ricerca, di curiosità intellettuale, di (non finta) originalità non viene per questo premiato. Se e quando questo avviene, il luogo è solitamente lontano da qui. Anche questo ha spinto molti amici e colleghi musicisti ad emigrare, con evidenti conseguenze per la loro personale sopravvivenza, e sono contento per loro, ma anche per la sopravvivenza di un barlume di vivacità artistico-culturale nella nostra isola. La quale continua in questo a vivacchiare, ad alternare fasi assolutamente soporifere ad inquietanti fasi di entusiasmo collettivo quando qualche musicista affermato ancora "non pervenuto", dopo decenni, viene fatto passare qui per novità. Le novità, quelle vere, ormai le ascoltiamo con una frequenza perfettamente in linea con le realtà più provinciali e periferiche del pianeta.

Come alcuni sanno le non poche risorse finanziarie pubbliche affluiscono spesso, in Italia e soprattutto in Sicilia, in pochi eventi culturali (o presunti tali: il confine tra intrattenimento e cultura è poco definito...) gestiti da pochi eletti. A volte i soliti noti, come si suol dire, e a volte i soliti ignoti che saltano fuori da chissà dove.

Sono comunque espressioni di una realtà politica, scaturita a sua volta dalle scelte degli elettori. Se questi sono diffusamente e profondamente influenzati dalla televisione, in queste e altre scelte, non c'è da stupirsi se le scelte di politica culturale sono modellate a immagine e somiglianza della TV. Fino al recente caso limite di un concerto (non sovvenzionato da sponsor privati, ma con i soldi dei contribuenti) per il quale un esemplare comunicato stampa annunciava, fra l'altro, "colonne sonore di films e pubblicità". Forse potremmo auspicare, in cartelloni-contenitori dove si aggrega di tutto, con un pretestuoso titolo che dovrebbe fungere da elemento comune, una maggiore chiarezza. Chiamare le cose con il loro nome, insomma, la qual cosa non è in cima ai pensieri dei suddetti "pochi eletti".

Tuttavia c'è pur sempre una responsabilità collettiva se le acque sono stagnanti, e credo che non avremo fatto mai abbastanza per uscire dal pantano.

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