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mercoledì 20 aprile 2011

Catania, Pino Caruso porta in scena il boss Calderone

La confessione di un pentito si fa monologo in teatro. "Mi chiamo Antonino Calderone" è la trascrizione drammaturgica che Dacia Maraini ha tratto dal libro-documento "Gli uomini del disonore" di Pino Arlacchi, uno dei massimi esperti mondiali del fenomeno mafia.

Pino Caruso in "Mi chiamo Antonino Calderone"
Protagonista e regista di se stesso è Pino Caruso, autentico beniamino del pubblico. La coproduzione degli Stabili di Catania e Palermo, in scena alla Sala Musco di Catania dal 20 al 28 aprile, testimonia della precipua attenzione di due teatri siciliani di eccellenza verso le varie forme di letteratura e drammaturgia che scavano nelle pieghe di un'emergenza endemica, tanto aberrante quanto radicata. Un impegno civile a denunciare e contrastare il degrado che incombe sulla Storia e sulle storie isolane, stritolate dall'inestricabile morsa della "piovra".

Quella di Calderone è in particolare una vicenda tutta catanese, infarcita di riti e luoghi fin troppo noti ai cittadini etnei. Un assassino può suscitare simpatia? A volte sì, se assistiamo alla sua trasformazione, se seguiamo da vicino il travaglio che lo abita e lo riempie di dolore. Quest'uomo è Antonino Calderone, mafioso appartenente alla "famiglia" catanese, sopraffatto dalla violenza e dalla rapacità dei corleonesi che, a furia di brutalità cieca e delitti spietati, hanno preso in mano la criminalità organizzata siciliana.

Calderone ha raccontato la sua vita a Pino Arlacchi che ne ha fatto un libro. E Dacia Maraini ha raccontato a sua volta, in forma teatrale, la storia di un uomo dalla vita avventurosa e difficile, inseguito dalla vendetta. Perché - come diceva Voltaire prendendo in prestito una massima di Erasmo - ogni buon racconto è come un uovo che, covato, genera altri racconti, all'infinito.

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